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“Going, going, gone!”

Il quadro “Girl with baloon” viene messo all’asta da Sotheby’s, a Londra, e aggiudicato per più di un milione di sterline. Per poi finire, subito dopo il colpo del martello, tagliato alla julienne da un distruggi documenti costruito dall’artista all’interno della cornice. Il video virale ha lasciato mezzo mondo sorpreso, incredulo, rendendo ancora più famoso il re della street art, Banksy.

Banksy è… nessuno lo sa. Anonimo e coerente alla sua morale ribelle, l’artista è stato cercato in ogni modo, anche con il profilo geologico criminale di solito usato per la lotta al terrorismo. Criminale, vandalo, star o celebrità? Non lo sanno, e si sono fermati alla prima ipotesi. Nonostante sia stato identificato con Robert Del Naja, leader dei Massive Attack, o con Robin Gunnigham, trentenne di Bristol, potrebbe essere una donna come un gruppo di writers.

Però, grazie alla sua arte, lascia segni indelebili sui muri di tutto il mondo. Usa la tecnica dello stencil, delle tempere. A volte semplici illustrazioni, iroiche, taglienti e paradossali (Monna Lisa con un bazooka, per intenderci), a volte veri e propri buchi per vedere dall’altra parte di un confine invalicabile, come il muro che separa lo stato d’Israele e la Cisgiordania (tra cui i graffiti fatti davanti all’“hotel con la peggior vista al mondo”). Infatti la guerra e il militarismo, due dei suoi temi preferiti, vengono sempre contrapposti all’innocenza dei bambini, mostrandoli come un gioco infantile e malato, a cui i nostri figli prenderanno parte senza esserne consapevoli. Non solo di armi è fatta la loro guerra, ma anche di corruzione. Bansky denuncia il capitalismo e la sterile società che ne deriva, attaccata ai soldi più che alla vita, la sperimentazione sugli animali (nei suoi famosi rats e scimpanzé, satirici esempi di “umanità”), la sorveglianza costante a cui ci sottopongono, l’omofobia e la colonizzazione. 

*Lui\Lei\Loro* non è stato solo writer, ma anche regista. Il suo disaster-documentary “Exit through the gift shop” racconta la storia di Thierry Guetta, proprietario di un negozio di vestiti vintage attaccatissimo alla sua videocamera, che finisce per filmare altri street artists ed entrare nel loro mondo. Insieme conducono da anni la guerrila art, una silenziosa rivolta negli unici musei dove non si paga il biglietto e non c’è profitto, le strade. Anche la società che gestisce le sue attività è contro ogni speculazione: se dichiari di avere una sua opera, ti contatteranno. Se è falsa, sarà distrutta. Se è vera, tutto quello che si ottiene è una banconota strappata a metà. Illegale prima, milionaria e inneggiata dopo. E poi, magari, triturata.

Ma Banksy è il simbolo del contrasto. Perché in fondo, se l’arte deriva dalla mente umana, dovrebbe essere preclusa ad alcuni? Perché se il pensiero cambia, la società e il mondo cambiano, non può l’arte stessa esserne parte, o addirittura, essere il cambiamento? Perché alcune cose vanno dette dalle ombre, di notte e in silenzio, con una bomboletta di colore, con la costante paura di essere taciute? 

Forse Banksy e le altre “ombre” saranno la vera luce che ispirerà tutte quelle persone che la mattina, per andare a vivere la loro vita, passeranno davanti ad un muro diverso dagli altri; non fatto per dividere o chiudere, ma per liberare.

Scritto da Alice Rossini 2C

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