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Storia, Realtà, Anima

È un uomo invisibile. Potrebbe essere ovunque, adesso. Girovaga per il mondo fondendosi con i muri e i loro graffiti, con le scale di un portico, con i famosi monumenti, con gli iceberg e con gli scaffali del supermercato.

La mostra omonima di Liu Bolin, al Complesso del Vittoriano fino a luglio, è una raccolta fotografica di tutti i suoi lavori, ambientati sia davanti alle vestigia della Storia (“Hiding in the City”), sia nei luoghi più improbabili e meno poetici del mondo (come una discarica, ad esempio).

È cominciato tutto, quando le autorità cinesi hanno demolito il Suojia Village, un villaggio di artisti indipendenti. Bolin, per ribellarsi, è diventato parte delle macerie. Lasciando parlare l’ambiente, critica la velocità del mondo, che distrugge e crea in una corsa instancabile, rischiando di perdere il passato e di dimenticare le cose più comuni che ci circondano. Perché? 

“L’uomo non è un animale perché non sa proteggere se stesso”, mimetizzandosi come i camaleonti: non sa proteggere i propri pensieri e idee, non pensa più a sopravvivere. E le cose che tendiamo a trascurare hanno un’anima, qualcosa da raccontare lasciata da qualcuno prima di noi. Ovviamente, ogni opera ha un significato aperto ed interpretabile, ma c’è qualcosa che le accomuna tutte. Qualcosa che ha a che fare con la nostra umanità, il nostro essere unici, e il nostro desiderio di risalire dalla fossa in cui stiamo sprofondando.

Insomma, chi pensava di essere andato a vedere un fenomeno virale e leggero, si ritroverà coperto da pesanti strati di colore e immerso nella mente di un’artista. Fino a diventare invisibile. 

Scritto da Alice Rossini 1C

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