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Quando la cultura è fine a se stessa!

L’inglese a scuola: ci impegniamo più di tutti e la sappiamo peggio degli altri

Secondo gli ultimi dati forniti dall’EF (Education First), leader internazionale nella formazione mondiale, l’Italia occupa il 23esimo posto su 27 nella classifica sulla conoscenza della lingua inglese nei vari paesi europei. Vicina a Russia, Ucraina e Turchia. Troppo distante dalle capolista Svezia, Danimarca e Paesi Bassi. Superata da Francia, Spagna e Grecia, per non parlare di Polonia, Romania e Bulgaria.  Ma come?! L’Italia non era il paese della cultura? Beh, forse questa volta la cultura ha davvero fallito. Cos’è che non funziona? Iniziamo dal principio.                                                                                                          

Da alcuni studi scientifici sull’apprendimento delle lingue straniere è emerso che è più semplice imparare per i bambini al di sotto dei 12 anni. È per questo che alle elementari dovrebbero insegnare solo i docenti migliori poiché è qui che si fa davvero la differenza. Ma in questa fascia d’età la scuola italiana delega l’inglese a insegnanti con competenza B1, se non addirittura A2. Pensate che A2 è il livello che si pretende da chi finisce le medie, mentre C1 è invece il requisito per insegnare inglese nella scuola polacca. Sarà per questo che la Polonia ci precede nella classifica EF?

La tanto criticata “Buona Scuola” varata dal governo Renzi si era interrogata proprio su tale questione: è più importante possedere conoscenze specifiche sulla lingua inglese o essere preparati all'insegnamento nella scuola primaria? Certo l’optimum sarebbe possedere entrambe le competenze, ma tra le due viene messa in evidenza la necessità di insegnanti madrelingua, come è giusto che sia poiché i bambini in quell’età assimilano tutto. Peccato però che non tutti i docenti, vedendo a rischio il loro posto di lavoro, sono stati d’accordo con la riforma e la situazione sembrerebbe esser rimasta inalterata. Risultato? Molti bambini continueranno ad apprendere l’inglese maccheronico parlato dai loro insegnanti, con pronunce molto bizzarre e interessanti, ma che non hanno niente a che fare con la lingua originale.

Concluse le elementari, il programma della scuola dell’obbligo prevede altri cinque anni di grammatica, di cui tre alle medie e altri due al biennio delle superiori. A questo proposito cito la risposta di John Peter Sloan, il più popolare insegnante d’inglese attivo in Italia, alla domanda “Perché gli italiani faticano così tanto con l’inglese?”: “Nelle aule italiane il divertimento è zero, si usano metodi e corsi che non sono pensati per gli italiani, si punta tutto sulla grammatica e poco sulla conversazione. Neanche gli inglesi conoscono la propria grammatica tanto quanto gli italiani”.

Dopo tanta grammatica e pochissima conversazione si arriva al triennio, dove ci viene inflitto il colpo di grazia: si abbandona completamente la grammatica per studiare la letteratura inglese. Ma l’obiettivo del programma qual è? Far imparare l’inglese attraverso la letteratura? Beh se è questo… il metodo è totalmente sballato! Imparare l’inglese con i testi di Geoffrey Chaucer in terzo o quarto liceo è come mettere davanti a un bambino delle elementari la Divina Commedia e pretendere che impari a leggere e a scrivere l’italiano. Molti degli autori che studiamo scrivono in un inglese antico che non ha nulla a che vedere con quello moderno. Se andassi a Londra e parlassi con la lingua di Shakespeare chi mi capirebbe?

Forse allora l’obiettivo, in linea con i principi sui quali è basata l’istruzione italiana, è far conoscere agli studenti la letteratura inglese. Peccato però che anche qui l’approccio si rivela completamente fallimentare e coincide con la vera e propria morte della letteratura inglese.  Essa, infatti, si riduce così a uno studio sommario e piuttosto superficiale della vita, delle opere e delle ideologie di grandi autori. La cosa triste è che nella maggior parte dei paesi in vetta alla classifica dell’EF non si studia la letteratura inglese. In Inghilterra stessa la letteratura non è una materia obbligatoria. Questo non significa che abolirla sia giusto ma che, magari, più che usarla per insegnare l’inglese, debba far parte di un programma di approfondimento linguistico. Sicuramente sarà fondamentale trovarla, oltre che nelle facoltà universitarie, nei licei linguistici, dove l’oggetto di studio è proprio la lingua. Ma nel liceo scientifico, dove l’inglese dev’essere un supporto alle materie scientifiche, lo studio della letteratura diventa un freno: 3 ore a settimana, potenzialmente produttive, vengono rese inefficaci da una letteratura che non onora nemmeno lontanamente i grandi autori inglesi.

 

Perché allora continuiamo a studiare l’inglese in questo modo? I professori di lingua non se ne rendono conto o non vogliono rendersene conto? 

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