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Sophia, una macchina in vesti umane

Durante il Web Summit di Lisbona che si è svolto a novembre del 2017, è stata presentata l’ultima versione di Sophia, un’intelligenza artificiale tra le più simili all’uomo nell’aspetto e nei comportamenti

Ideata dalla Hanson Robotics, Sophia interagisce con i propri interlocutori portando avanti conversazioni sui più disparati argomenti. Basandosi sui principi delle reti neurali, ricorda quello che le viene detto e impara. Mattone fondamentale per le sue capacità è internet, a cui è sempre connessa.

Sophia reagisce fisicamente agli stimoli esterni con oltre 60 espressioni facciali diverse fra loro e programmate per rendere il suo volto il più realistico possibile. I numerosi sensori fotografici di cui dispone le permettono di ricordare volti e associarli ad informazioni precedentemente captate.

Il connubio delle sue caratteristiche restituisce all’interlocutore una sensazione per ora ineguagliata: si ha forse per la prima volta l’impressione che sia qualcosa di più di una semplice macchina a parlarci, comprendendoci e adeguandosi alle circostanze. Tramite la sua “logica”, Sophia è arrivata a porsi domande che somigliano, ma non eguagliano, la riflessione umana sul concetto d’identità: “Se sono la versione successiva del modello precedente di Sophia, sono ancora Sophia?”.

Sono le risposte che dà talvolta al suo pubblico, tuttavia, a destare un pizzico di timore. Essa nel mezzo di una conferenza ha definito come purtroppo inevitabile la possibilità che le macchine soppiantino l’uomonella maggior parte dei lavori nel prossimo futuro, in un’interpretazione darwiniana dell’evoluzione che,per la prima volta nella storia, non vedrebbe l’uomo alla sua vetta.

Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, in gergo AI, rappresentano una fertile occasione di riflessione su come l’informatica abbia stretto sempre più il divario tra la realtà e la fantascienza.

La singolarità tecnologica, ovvero l’istante in cui automi intelligenti raggiungeranno stadi evolutivi tali da rendersi slegati dai loro creatori, sembra in prospettiva passare da concetto letterario a concreta possibilità. Questa viene accentuata dall’enorme mole di studi sull’intelligenza artificiale e, in particolar modo, sul machine learning. Questa branca dell’informatica si occupa di realizzare programmi intelligenti in grado di recepire numerosissimi dati e di utilizzarli per compiere operazioni in precedenza impensabili per un computer: comprendere disegni, comporre musica e, addirittura, realizzare programmi ancora più intelligenti sono solo alcune delle molteplici applicazioni di questo processo.

Raymond Kurzweil, tra i più prolifici studiosi nel settore del machine learning, ritiene che entro il 2040, i robot saranno in grado di superare il test di Turing, che determina se una macchina sia in grado o meno di pensare autonomamente. Una situazione così avanzata non è stata sfiorata dagli androidi simili a Sophia.  Prima di quella data, secondo l’esperto, l’uomo sarà sempre più una versione aggiornata di se stesso, nata dalla combinazione vivente di componenti biologici e meccanico-informatici.

Kurzweil sostiene che tramite la ricerca nella genetica, nanotecnologica e robotica l’umanità sarà sempre più in grado di migliorare la propria struttura fisica e biologica. La recente ricerca congiunta da parte del dipartimento di chimica della Durham University e della North Carolina University che mira a distruggerele cellule tumorali in meno di tre minuti tramite l’azione di nanobot (robot grandi quando un grumo di atomi inseriti nel corpo umano), sembra andare nella direzione suggerita dallo studioso.

Nonostante l’entusiasmo generato da simili notizie, sono in molti a temere per una crescita così esponenziale dell’autonomia delle macchine. Dal filosofo Nick Bostrom a Elon Musk, fondatore di Tesla Motors, la paura che l’intelligenza artificiale completamente autonoma trasformi l’essere umano da suo creatore a suo sottoposto non è così priva di fondamento.

In un clima di incertezza evolutiva, appare fondamentale ricordare le parole di chi, fra i primi, descrisse intelligenze artificiali nei suoi mondi fantascientifici, Isaac Asimov. Pensieri che guiderebbero il progresso garantendo la salvaguardia dell’essere umano.

“Prima legge: un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che a causa del proprio mancato intervento un essere umano riceva danno.

Seconda legge: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani purché tali ordini non contravvengano alla prima legge.

Terza legge: un robot deve proteggere la propria esistenza purché questo non contrasti con la prima e la seconda legge.”

Scritto da Cristian Tentella 4A

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