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La fuga della galassie

Scritto da Alessio Mari VB

La misteriosa forza alla base del nostro universo

Quando osserviamo il cielo notturno, allontanandoci dall’inquinamento luminoso delle città, ci troviamo di fronte a uno spettacolo meraviglioso di puntini luminosi che risaltano su uno sfondo scuro. Si tratta in realtà di corpi celesti le cui dimensioni possono essere anche milioni di volte superiori a quelle della Terra. La maggior parte dei punti che vediamo sono stelle: corpi gassosi ad altissima temperatura che emettono energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, in conseguenza delle reazioni nucleari che avvengono al loro interno. 

Le stelle appaiono di diverso colore e di diversa intensità. Tali differenze possono essere dovute a diversi fattori, tra cui la dimensione, la massa, la composizione chimica e la temperatura. La loro diversa luminosità dipende in gran parte dall’immensa distanza che ci separa da esse.

Le stelle sono composte principalmente da idrogeno ed elio. Per conoscere la loro composizione chimica e la loro temperatura, si usa lo spettroscopio, una sorta di prisma che, come scoperto da Newton, quando è attraversato dalla luce del sole, questa si scompone nei diversi colori che la costituiscono (il suo spettro), ognuno associato a una frequenza luminosa. L’arcobaleno, grazie alle gocce di pioggia che fungono da prisma naturale, è lo spettro della luce del Sole ed è composto da tanti colori: possiamo notare che a un estremo la luce tende al blu (frequenza maggiore) mentre all’altro tende al rosso (frequenza minore).  Grazie allo spettroscopio si può quindi determinare lo spettro luminoso non solo di una stella, ma anche quello di una galassia.  Stelle diverse hanno spettri diversi; ma una caratteristica comune è che in genere il loro sfondo continuo dei colori è interrotto da alcune righe scure sottili, conosciute come “spettro a righe di assorbimento”. 

Il nostro sole e le stelle a noi più vicine fanno tutte parte di una medesima galassia: la Via Lattea. Una galassia è un grande insieme di stelle, come una città stellare, che può concernerne anche migliaia di miliardi; ma la loro esistenza non era scontata. Nel 1924 l’astronomo americano Edwin Hubble, dopo aver dimostrato l’esistenza di una molteplicità di galassie nell’universo, misurò indirettamente la distanza che ci separa da esse, calcolando la distanza di ben nove diverse galassie!

Studiando gli spettri delle stelle e delle galassie più lontane e comparandole con le nostre, negli anni Venti, gli astronomi s’imbatterono in un fenomeno estremamente interessante dovuto all’effetto doppler: questi presentavano le stesse righe di assorbimento caratteristiche delle stelle della nostra galassia, ma con la differenza che erano tutti spostati di una medesima quantità relativa verso l’estremo rosso, detta in inglese redshift. Il redshift è il fenomeno per cui la frequenza della luce, quando osservata in certe circostanze, è più bassa della frequenza che aveva quando è stata emessa tendendo al colore rosso. Ciò accade perché la sorgente di luce (le galassie) si muove allontanandosi relativamente dall'osservatore, cioè dalla Terra.

Questa osservazione mise le basi per la teoria dell’espansione dell’universo. Si scoprì sperimentalmente che più una galassia è lontana tanto maggiore è il suo redshift, e di conseguenza la sua velocità di allontanamento da noi. Si è ritenuto, quindi, che le galassie fossero come puntini su un palloncino che viene gonfiato: i puntini più vicini si allontanano di meno di quanto invece fanno quelli inizialmente più lontani.

Da questa scoperta scientifica si arrivò a dimostrare che l’universo è in espansione di un valore compreso fra il cinque e il dieci per cento ogni miliardo di anni. Tuttavia, questa misteriosa forza che vince l’interazione gravitazionale, che è una forza opposta, non si conosce ancora; pertanto gli è stato assegnato il nome di “forza oscura”.

Dopo queste considerazioni nessun fisico poté sostenere ancora le altre due teorie precedenti: né la contrazione dell’universo né la sua staticità, sostenuta fortemente dallo stesso Albert Einstein. Quest’ultimo, anche quando, nel 1915, formulò la teoria generale della relatività, era ancora pienamente convinto dell’esistenza di un universo statico. Per giustificarlo, modificò quindi la sua teoria, introducendo nel 1917 nelle sue equazioni una così detta “costante cosmologica”; si trattava di una nuova forza “antigravitazionale”, cioè repulsiva e intrinseca allo stesso tessuto spazio-temporale. Questa sua costante cosmologica controbilanciava perfettamente l’attrazione fra tutta la materia compresa nell’universo; e il risultato era quello di un universo statico.

Tra il 1924 e il1927 il cosmologo russo Friedmann e l’astronomo Lemaître dimostrarono però la teoria dell’espansione dell’universoe dopo le loro prove sperimentali Einstein confessò a George Gamow che quello è stato il “biggest blunder of his life”.

 

1 G. Gamow, My World Line: an Informal Autobiography, Viking, New York 1970


Alessio Mari VB

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