· 

Giochiamo veramente per divertirci?

Scritto da Giulia Fantini 4B

Non molti sanno che uno dei nostri passatempo preferiti affonda le radici nel lontano X secolo. Ci troviamo in Cina, dove la grande diffusione del ganjifa, un antico gioco persiano, e la creazione della banconota hanno introdotto l’invenzione delle carte da gioco. Da qui la loro popolarità è aumentata a dismisura fino a oggi, diventando un vero e proprio svago quotidiano per uomini e bambini. Il loro utilizzo non è destinato unicamente al divertimento di una sfida amichevole, ma vengono impiegate anche per altre attività commerciali come gli spettacoli teatrali, con i trucchi di magia, e la cartomanzia, con i tarocchi. Tra i vari usi, è stata accostata alle carte da gioco un’altra funzione a scopo di lucro, e così sono state introdotte nel gioco d’azzardo. 

Il termine specifico “azzardo” deriva dall’arabo az-zhar, che significa “dado”. Infatti i primi giochi consistevano nello scommettere sul lancio dei dadi, puntando somme di denaro e beni preziosi. A volte si giocava anche per la casa, la famiglia o la vita, e nel momento decisivo non ci si poteva tirare indietro.

La pratica dell’azzardo ha avuto alti e bassi nel corso del tempo, ma il suo più grande exploit è avvenuto nei saloon del Far West. Qui, spesso, le partite degeneravano in sparatorie e risse aumentando l’immoralità e la corruzione nella società americana del XIX secolo. Così, per questioni legali, vennero regolarizzate alcune tra le più famose case da gioco, anche dette casinò, come quella veneziana del 1638, tra le più antiche al mondo. Questi luoghi sono frequentati da tutti, ovviamente a patto di aver acquisito la maggiore età, in base alla legislazione della nazione ospite. 

In Italia la situazione non è abbastanza florida per i soli quattro casinò autorizzati, edificati a Venezia, Campione d’Italia, Saint-Vincent e Sanremo. Il loro lavoro ha risentito fortemente della consistente diffusione di scommesse sportive, slot machines e gratta e vinci; infatti nel 2016 sono stati spesi in media dalla popolazione italiana 95 miliardi di euro, una cifra troppo pesante per un paese in crisi come il nostro. Le rigide regole italiane, inoltre, hanno spinto gli appassionati di roulette française verso le mete più ambite come Las Vegas e Monte Carlo.

Gli Stati Uniti d’America, al contrario, sono uno dei paesi portanti di questa attività. Secondo un sondaggio AGA, American Gaming Association, del 2014, l’87% delle persone che ha risposto al questionario ha dichiarato il gioco d’azzardo nei casinò un’attività accettabile e, confrontando i dati con un’altra rilevazione del 2009, gli oppositori sono diminuiti di un terzo, dal 17% all’11%. Dei consumatori che frequentano le case di gioco il 70% appartiene a una classe sociale medio-alta e il 56% ha dai 21 ai 49 anni. Come si può veder dai grafici riportati, i soldi investiti dalla popolazione americana sono in continuo aumento e sono destinati a salire in media del 2.25%. Il 76%, inoltre, ha dichiarato di giocare con un budget prestabilito, in media sotto i 200 dollari. Con questo dato si introduce dunque un altro aspetto del gioco, che ha come prevenzione quella di porsi dei limiti. Infatti la maggioranza dei consumatori è a conoscenza di non arricchirsi; anzi si è pienamente consapevoli, quasi con certezza, di perdere la puntata. 

Perché allora si continua imperterriti a scommettere? Il motivo principale per cui si va al casinò è quello di passare del tempo in compagnia, divertirsi con parenti o amici. E ciò che ci spinge assiduamente a partecipare è il piacere derivante dal rischio, dall’adrenalina che il nostro corpo produce in determinate situazioni di “sballo”. Questa piacevole sensazione è direttamente proporzionale alla grandezza della posta in gioco: dunque più la posta è alta, più ci eccitiamo di fronte all’azzardo. Generalmente non si riesce a smettere di giocare, almeno finché non si è perso tutto, perché la nostra volontà viene sopraffatta dalle forti emozioni che catturano il nostro cervello, tanto da mandarci in tilt come un computer. In casi particolari, si parla di gioco d’azzardo patologico, considerato una vera e propria droga mentale, curabile attraverso una particolare psicoterapia.

Dunque, perché le perdite nel gioco d’azzardo sono spropositatamente maggiori delle vincite? La garanzia della nostra perdita è pura e semplice matematica, verificabile con la “legge empirica del caso”. Per introdurre la frequenza relativa propria della statistica, si deve sapere che la probabilità che si verifichi un determinato evento è data dal rapporto tra il numero dei casi favorevoli e il numero dei casi possibili. In un preciso numero di prove effettuate (n), si può calcolare la frequenza relativa dell’evento. La frequenza è data dal rapporto del numero di prove in cui l’evento si è verificato (v) e il numero delle prove totali effettuate (n). 

F (frequenza)= v/n

Per uno stesso numero di prove effettuate (n) si possono ottenere diversi valori per cui l’evento si è verificato (v). Alcuni esperimenti hanno però dimostrato che più grande sarà il numero di prove effettuate (n) e più la frequenza relativa tenderà a stabilizzarsi e ad avvicinarsi alla probabilità dell’evento. In altre parole, maggiore sarà il tempo trascorso nel gioco, e quindi il numero di partite effettuate, maggiore sarà anche la probabilità di perdere. 

Purtroppo, in questi ultimi anni, sono state migliaia le persone che hanno perso tutti i loro beni per colpa della dipendenza da gioco d’azzardo, dai nullatenenti fino a personaggi pubblici della televisione italiana come Pupo, Marco Baldini e Mara Maionchi. Oltretutto, queste persone non hanno perso soltanto il loro eventuale benessere economico, ma con il tempo hanno logorato anche i rapporti con familiari e amici, che non potevano far nulla per migliorare la situazione.

Quindi, vale la pena rischiare?


Giulia Fantini 4B

Scrivi commento

Commenti: 0