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Al di là delle frontiere del sistema solare: esopianeti

Scritto da Ludovico Crespi 3B

Da habitat di vita aliena a fonti di risorse per l’umanità

Il fatto che la terra non sia l’unico pianeta nell’universo non è una novità, dato che sin da bambini impariamo i nomi di quei pianeti che orbitano intorno al nostro Sole. Ma se pensiamo che esistano miliardi di galassie, ciascuna contenenti miliardi di stelle, ognuna potenzialmente capace di ospitare un sistema planerio che le orbiti intorno, la prospettiva cambia completamente. I pianeti extrasolari o esopianeti sono pianeti che non fanno parte del sistema solare; se ne scoprono di nuovi di giorno in giorno e per ora il numero di corpi individuati ammonta a 3583 distribuiti in 2688 sistemi planetari.

La loro scoperta avviene tramite osservazione indiretta dei fenomeni che causano l’eclissi della stella attorno alla quale orbitano, il cambio dell’orbita della stella o l’effetto della lente gravitazionale, tanto per citarne alcuni.

Tuttavia a fronte del loro enorme numero, sono veramente pochi quelli che sembrano essere ospitali per la vita come la concepiamo noi.

Il 23 febbraio 2017 la NASA (National Aeronautics and Space Administration) ha annunciato la scoperta di altri 7 pianeti molto simili al nostro orbitanti intorno alla nana rossa ultra fredda TRAPPIST-1; l’interrogativo adesso è se questi corpi celesti, che si sommano ai noti Kepler-62, Kepler-442, proxima centauri-b e Kepler-448, abbiano le caratteristiche necessarie alla vita, ossia temperature adatte, come sulla Terra, e presenza di acqua allo stato solido o liquido.

Le informazioni che abbiamo sono molto poche ma già si conoscono i periodi di rotazione e rivoluzione e le orbite dei singoli pianeti, quindi si possono fare subito delle considerazioni di tipo pratico: gli anni sono molto brevi (caratterizzati da periodi di rivoluzione compresi tra 1,5 e 20 giorni terrestri) mentre i giorni sono estremamente lunghi se non perpetui (i pianeti sembrano tutti ruotare in maniera sincrona, ovvero mostrano sempre la stessa faccia alla stella perché i periodi di rivoluzione e rotazione sono molto simili); in più la stella (nana rossa ultra fredda) emette molto nell’infrarosso e poco nel visibile dando al cielo dei pianeti una luminosità mai superiore a quella del tramonto sulla Terra e uno speciale color salmone.

É quindi da escludere la possibile presenza di vita su questi corpi celesti lontani ben 40 anni luce da noi?

No, perché alcuni modelli realizzati dagli scienziati mostrano che forti venti potrebbero riequilibrare la temperatura sulla superficie, e non è da escludere la presenza di oceani. Per primo Enrico Fermi fece una stima di quante civiltà intelligenti ci fossero nell’universo utilizzando il metodo dei cosiddetti problemi di Fermi (è celebre il problema degli accordatori di pianoforte) che consente di fare rapide stime basandosi su dati verosimili relativi ad un argomento; a partire da questa stima Fermi pose al mondo scientifico un paradosso che può essere formulato così: «Se nell’universo esiste un gran numero di civiltà aliene, perché la loro presenza non si è mai manifestata?»

Esattamente 11 anni dopo, nel 1961, l’astronomo e astrofisico statunitense Frank Drake formulò un’equazione per stimare il numero (N) di civiltà extraterrestri in grado di comunicare all’interno della nostra galassia; nonostante l’interrogativo lapidario posto da Fermi, che tende a ridimensionarne le stime troppo ottimistiche, N è per forza un numero maggiore o uguale a 1.

3 anni più tardi Nikolaj Kardasev propose un metodo di classificazione delle civiltà in funzione della loro capacità di sfruttare l’energia che le circonda: Tipo 1 riesce a sfruttare tutta l’energia del proprio pianeta, Tipo 2 riesce a sfruttare tutta l’energia del proprio sistema solare e Tipo 3 riesce a sfruttare tutta l’energia della propria galassia; l’umanità fa parte del Tipo 0 ovvero non sfrutta  neanche il 100% dell’energia disponibile sul pianeta d’origine.

Per le conoscenze tecnologiche che possediamo ora sarebbe quindi improbabile tentare un contatto con le civiltà aliene a meno che non siano più progredite di noi: la prima operazione, di cui già si parla, che avvierà e darà un forte contributo al campo della ricerca della vita sarà quella di inviare l’uomo su Marte, che presenta le caratteristiche di un pianeta che potrebbe aver ospitato la vita e in più è raggiungibile in relativamente poco tempo (7 mesi).

A questo scopo sul pianeta rosso lavorano robot comandati via radio dalla Terra che cercano eventuali tracce di materiale organico e raccolgono campioni di roccia dalla sua superficie.

La visione apparentemente fantascientifica della colonizzazione o lo sfruttamento di altri pianeti potrebbe in realtà rivelarsi molto utile per acquisire nuove conoscenze (dovremmo imparare a creare una zona abitabile a partire da un ambiente ostile) e nuove risorse (energia solare, minerali particolari e terre rare per le quali sulla Terra si fa la guerra), un po’ come lo furono la colonizzazione dell’America o la corsa all’oro.


Ludovico Crespi 3B

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